ROMA - L'attrice torna a parlare del caso all'indomani della seconda pesante condanna per il produttore cinematografico
Fu una delle prime a denunciare quello che allora (era il 2017) era uno dei personaggi più potenti di Hollywood (e con la sua denuncia innescò la campagna MeToo che ha rappresentato un punto importante nella presa di coscienza a livello mondiale sul fenomeno delle molestie e violenze sessuali sulle donne, in particolare nel mondo dello spettacolo ma non solo) e oggi, a 47 anni, Asia Argento commenta con un lungo post liberatorio l’ulteriore condanna per violenza sessuale che è piovuta sul capo del produttore cinematografico Harvey Weinstein.
Già condannato dalla Corte di New York a 23 anni (che sta scontando), ieri Weinstein è stato condannato da quella di Los Angeles ad altri 24 anni di carcere per altri tre episodi di stupro e aggressioni sessuali.
Asia Argento su Instagram scrive questo: “Ieri Weinstein è stato condannato (dopo la sentenza di 23 anni a New York) a Los Angeles per stupro e violenze sessuali, potrebbe scontare 47 anni in carcere. Quarantasette anni è la mia età. Oggi sono una donna serena, una sopravvissuta, amo la vita, amo me stessa, ho trasformato il veleno in medicina, e so che la mia esperienza ha aiutato innumerevoli donne in tutto il mondo ad uscire dallo stigma delle violenze sessuali, a liberarsi di questo enorme fardello. E per questo sono e sarò sempre eternamente grata.
E quando, da giovanissima, subì la violenza da lui? “Allora ero ventenne, non avevo gli strumenti per capire cosa mi era successo. Ci sono volute due decadi e 16 anni di analisi per liberarmi di questo critico interiore in primis, e per imparare a farmi scivolare le insinuazioni dei detrattori poi, che facevano ancora più male perché ero stata io la prima a incolparmi”.
Quanto alla denuncia e a tutto ciò che ne è seguito, Asia Argento scrive: “Quando nel 2017, dopo che io ed altre donne liberammo la parola rendendo pubbliche le violenze sessuali subite da Harvey Weinstein e ci fu un vero e proprio tsunami mediatico, subii da parte dei media e degli haters quello che viene chiamato “victim blaming”. Vennero dette pubblicamente frasi come “se l’era cercata, poteva dire no, l’ha fatto per farsi pubblicità”… perché la colpa del predatore in qualche strana maniera ricade sempre sulla donna, sulla vittima, anche se detesto questa parola. La vittima di stupro, di molestie, viene sempre, prima di tutto, giudicata. Prima ancora dello stupratore. E purtroppo anche la vittima per prima cosa interroga se stessa. Questo dovrebbe farci capire com’è tutt’ora montata la nostra società”.
E prosegue: “Anch’io mi chiesi come mai non fossi riuscita a scappare, perché non gli avessi dato un calcio nelle palle come mi aveva insegnato mia madre, perché non avessi urlato e chiamato le forze dell’ordine. M’incolpavo dicendomi che davo troppa confidenza agli uomini. O che forse era colpa dei ruoli che interpretavo, le pose sexy sulle copertine dei giornali. Se qualcosa di irrisolto dentro di me non mi aveva mai permesso di amarmi completamente, dopo essere stata violentata iniziai a disprezzarmi. Continuavo a ripetermi che ero una puttana e che me l’ero cercata. Non riuscivo a fuggire da questi pensieri”. Poi, come ha spiegato, dopo 20 anni e 16 di cura da uno psicologo, è riuscita a vedere le cose diversamente. E a stare bene con se stessa come racconta oggi.